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V dopo Pentecoste

Uno sguardo sul tempo liturgico

Continua la rilettura della storia della salvezza che, anche questa settimana, ci fa soffermare su una pagina del ciclo di Abramo. Ciclo bellissimo, complesso, composito, che vi invito a rileggere utilizzando la Scrittura che, certamente, possedete ma che, forse, non apriamo poi così spesso.

Pensare la fede

Abramo viene presentato dalla scrittura come il primo uomo che dialoga con Dio, il primo uomo che si affida a Dio, il primo uomo che inizia la storia del popolo della salvezza. La sua fede è spiegata in diversi modi che lasciano intendere la sintesi del suo percorso. Per Abramo la fede è avere fiducia in Dio, è avere lo sguardo sulle cose che devono venire, è attendere che la Parola ricevuta in dono diventi realtà. Potremmo dire che la realtà della fede è la speranza.

Una visione di fede

Anche il Vangelo ci dona questa visione. Avere fede consiste nell’avere la speranza di vedere il volto di Dio, o di udire da Lui la Parola che, nella vita, si è meditata e nella quale si è creduto. Avere fede, ci diceva ancora il Vangelo, è andare avanti nel proprio cammino di vita tenendo fisso lo sguardo su Dio, nella speranza dell’incontro con Lui, al termine della propria vita. Gesù dice chiaramente che chi lo segue, chi lo ascolta, chi si “fida” di Lui, è incamminato verso il possesso di tutti questi beni eterni.

Gesù richiama molto spesso alla speranza, anzi, potremmo dire che ogni pagina del vangelo è un invito aperto ad avere speranza e fiducia in Dio che, a suo tempo, compie ogni cosa.

Per noi

Cosa diciamo della nostra fede? Forse, se qualcuno ci chiede se abbiamo fede, siamo pronti a definire il nostro credo ma se siamo richiesti di dire cosa sia la fede, siamo più incerti. Forse qualcuno dice che è un modo di sentire, il famoso “senso religioso”; qualcun altro potrebbe dire che è un modo di vedere le cose della vita; qualcun altro potrebbe dire che dalla fede deriva un codice di comportamento, un codice etico, come, in effetti, ci hanno anche detto le scritture delle due precedenti domeniche; forse potremmo dire molto altro ancora, ma credo che tutti faremmo un po’ fatica a definire la fede.

Possiamo anche noi attingere a questa parola di Dio e dire che la fede è avere speranza in Dio, è sentirsi incamminati verso la sua luce, verso la visione del suo volto, verso il dimorare in lui pienamente e perennemente. Alla luce di questa verità si possono poi rileggere tutte le altre cose: il codice etico di comportamento, il modo di vedere tutte le cose, il senso religioso della vita e molto altro ancora.

Credo che la questione sulla dimensione della speranza sia centrale. Ben venga che il prossimo anno giubilare, che inizierà la notte di Natale, sia proprio tutto centrato sulla speranza. Sarà l’occasione di riflettere su questa virtù, su questa dimensione della fede senza la quale qualsiasi passo di fede perde senso e diventa più un’espressione della volontà degli uomini che non un affidamento a Dio.

Apriamoci già fin d’ora a questa contemplazione della speranza. Cerchiamo di vivere con gusto questi giorni mortali che ci vengono dati nella costante ricerca di ciò che è eterno, di ciò che non passa. Insegniamo anche ai nostri giovani ad avere speranza in Dio: li aiuteremo ad essere sempre più attenti a far nascere il senso di Dio nelle loro coscienze e nei loro cuori.

Il Vostro Parroco,