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Del cieco nato

In quaresima

Continua il nostro impegno di preghiera e di revisione di vita attraverso le pagine del Vangelo di Giovanni.

Sulla soglia della fragilità

L’impegno di oggi è particolarmente difficile. Credo, infatti, che siamo chiamati a custodire le fragilità. Discorso, appunto, complesso. Nel vangelo si parla di diverse forme di fragilità. In primo piano, ovviamente, è la fragilità del cieco. Una fragilità fisica, una fragilità di salute, una fragilità del corpo. Menomazione difficile da sopportare, dovendo sempre dipendere dagli altri, tanto più in una società dove non c’erano tutele, aiuti, servizi, dove tutto era lasciato alla buona volontà e all’amore delle persone singole.

Troviamo una seconda forma di fragilità nella figura dei genitori del cieco. Un uomo e una donna, evidentemente, molto fragili, succubi del giudizio degli altri, incapaci di gioire per la salute riacquistata del figlio per il timore di essere espulsi dalla sinagoga. Fragilità del carattere che mal si accosta a quella caratteristica di fortezza interiore del figlio.

Ancora fragilità di una società, fragilità di fede che invece di farsi domande, si trincera dentro la propria chiusura per paura che qualsiasi apertura possa essere dannosa. Fragilità diverse, tutte da custodire.

Un richiamo

Mi sembra che anche noi tutti viviamo diverse forme di fragilità. Anche la nostra società, anche la nostra chiesa, sono luoghi, istituzioni nei quali si vivono diverse fragilità. Ci sono molte persone fragili nel carattere. Ci sono molte persone fragili a causa delle malattie che giungono. Ci sono molte persone fragili nella psiche, nello spirito… Ci sono intere famiglie fragili, ci sono le fragilità degli anziani e quelle dei giovani, quelle dei bambini e quelle degli adulti…

Cosa dobbiamo fare di fronte al mondo della fragilità? Le riposte potrebbero essere molto diverse. Ci sono fragilità per le quali si può fare molto, come singoli e come società e ci sono fragilità per le quali si può fare molto poco. In sintesi, però, direi che occorre “custodire” la fragilità. Custodire, ovvero riconoscere che ci sono delle fragilità e anche cercare di capire quali sono. A tutte le fragilità si può dare un nome. Riconoscere la propria o l’altrui fragilità è già un modo per non ignorarla, per custodirla, per mettersi di fronte ad un problema. in secondo luogo credo che la risposta più importante sia quella dell’amore. Di fronte al mondo della fragilità si reagisce con amore. È solo così che si può accompagnare l’anzianità di molti, la disabilità, la solitudine, la malattia, l’accompagnamento verso la morte… Sono tutti contesti di vita con i quali noi ci auguriamo di avere poco a che fare, eppure è chiaro che dobbiamo cimentarci in essi, perché la vita dell’uomo è fatta anche di queste cose. Come il Signore Gesù ha sperimentato la fragilità nel suo corpo, come ha accompagnato la fragilità di altri, così dobbiamo fare anche noi: impariamo a custodire le fragilità come qualcosa di prezioso. Dall’amore nascono poi gli interventi, ove è possibile farne. Sappiamo che l’amore genera sempre risposte fantasiose. Per alleviare il mondo della fragilità occorre questo: la fantasia dell’amore. Spesso lasciata ai singoli, eppure è possibile che anche in gruppo, anche nelle associazioni, anche nelle macro-istituzioni, come la Chiesa, la fantasia dell’amore susciti possibilità, idee, sostegni, vicinanza.

Impegniamoci, in questa quarta settimana di quaresima, a riflettere su questo tema. Cerchiamo quali sono le nostre fragilità e chiediamoci come possiamo porvi rimedio. Cerchiamo anche, al tempo stesso, di diventare interpreti delle fragilità degli altri, per capire come possiamo sostenerle e aiutare, con la forza dell’amore, chi ci sta accanto.

Il Vostro Parroco,