I credenti siano «testimoni visibili della prima verità del cristianesimo, che è l’amore fraterno»: questo l’appello che rivolgeva ai cassanesi don Claudio Galimberti, scomparso sabato 2 marzo, nell’omelia tenuta domenica 21 settembre 2008, in occasione della prima festa patronale cittadina di san Maurizio. Il martire era stato scelto proprio in quell’anno come patrono di Cassano Magnago, in concomitanza con la nascita della comunità pastorale a lui intitolata, della quale l’amato sacerdote, già parroco di San Giulio dal 1995, era diventato responsabile, poco prima di concludere il suo servizio in città.
La riflessione di don Claudio, qui riproposta, rimane un lascito significativo, mentre stiamo ancora celebrando i tre lustri dall’avvio del cammino che unisce le tre parrocchie cassanesi.
Il testo è ripreso da “Emmaus”, periodico della comunità pastorale (ottobre 2008, pp. 1-2). Il grassetto è dell’autore.
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Per la prima volta, nella nostra Città, festeggiamo il patrono san Maurizio. San Maurizio è un martire, cioè un testimone della fede; una fede che è stata messa alla prova. La II lettura ci dice: «Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede». La testimonianza della fede non la si fa con le prediche o negli incontri sulla fede, ma nella vita concreta, nelle scelte quotidiane, nello stile della nostra vita.

Oggi – festa di san Maurizio – noi tutti, che ci onoriamo di avere questo santo martire come nostro patrono, dobbiamo risvegliare la nostra fede come testimonianza. Come parroco mi sento di dire che di fede ce n’è tanta tra la nostra gente, ma ci sono anche tanti vuoti di fede, tanta tiepidezza e superficialità nel vivere la fede, tanti segni che confondono o addirittura scandalizzano chi non crede. Abituati a vivere solo di diritti, ci siamo presa anche la libertà di credere a modo nostro, facendo ciò che ci piace e rifiutando, della nostra fede, ciò che ci dà fastidio, ci fa fare fatica.

Mi rivolgo accoratamente a ciascuno di voi. Torniamo ad essere testimoni credibili di Gesù Cristo. Sappiamo di avere tanti limiti personali e comunitari, ma non deve mancare questa aspirazione forte, gioiosa, intraprendente, perché la nostra città sia segnata con la croce di Cristo, nella vita concreta.

Mi rivolgo ai giovani: la vita non la si può passare a programmare il weekend, la partita o la bevuta del sabato sera. Bisogna impegnarsi: non vi faccia paura la parola sacrificio, perché è parte integrante dell’esistenza. Sacrificio contiene la parola sacro: l’impegno consacra la nostra vita. Siate generosi, guardate al futuro che è vostro, per costruirlo, non per aspettare che le cose capitino per conto loro.

A noi adulti e anziani il compito dell’esemplarità. Dio non voglia che i nostri ragazzi e giovani, vedendoci rassegnati o superficiali o compromessi in tanti intrallazzi, credano che la vita sia solo così, e non scelgano di testimoniare fino in fondo la bellezza dell’essere di Cristo, anche con scelte importanti come quella del sacerdozio e della vita consacrata.

La nostra città è luogo di vita attiva, intreccio di relazioni fitte e audaci, orgogliose e povere insieme. È luogo di contraddizione dove coesistono benessere e misera, dove si trovano grandi segni della presenza di Dio accanto a tristi e vistosi luoghi della sua mancanza.

Faccio qui, in sintonia con il nostro Arcivescovo, un appello alle famiglie perché siano anima della nostra città. Le famiglie non sono altro rispetto alla città. E che la città sia più bella, più vivibile, più accogliente dipende in buona misura dalle famiglie, dalla loro capacità di aiutarsi, dalla loro capacità di educare. La famiglia è la prima scuola di socialità. Non tutte le famiglie sono in grado di svolgere questo compito: a Cassano ci sono famiglie disgregate o in difficoltà, quelle emarginate a causa di una vistosa mancanza di risorse umane o economiche: le istituzioni, la scuola, la parrocchia, l’oratorio, anche le società sportive possono in qualche modo tamponare questa situazione. Ma non basta mettere un cerotto. Dobbiamo imparare a vivere una solidarietà tra famiglie, facendo crescere una capacità di aiuto, uno sguardo che anticipa il bisogno fino a ipotizzare, perché no, la promozione di gruppi di mutuo aiuto fra famiglie, accomunate da un medesimo motivo di fragilità. I gruppi familiari devono promuovere in città questa cultura di famiglia solidale. Una parola di positivo incoraggiamento su questo anche all’Amministrazione comunale qui rappresentata: camminate con la gente, ascoltatene i problemi, non dilungatevi in disquisizioni politiche o burocratiche senza dare risposte ai cittadini, che di fronte a un loro problema hanno fretta. Servite il bene di tutti, dando credito a chi si comporta bene, a chi vuole il bene della città, e non accettando l’avidità di pochi o la scorrettezza dei furbi che vogliono tenere per sé o accaparrare privilegi o prebende.

Un grazie all’Amministrazione comunale per il buon rapporto che ha con la Comunità cristiana, nella quale riconosce un interlocutore primario. Chiesa e Comune, ciascuno nel proprio ambito, cerchino di costruire una città più bella, più degna di questo nome, sollecitando soprattutto la popolazione a passare da una mentalità “paesana” e un po’ chiusa a un modo di vedere le cose più cittadino, con una azione culturale che parta già dalle scuole.

Il Vangelo ci suggerisce che – come in natura – per generare vita bisogna perdere la vita. Ce lo dice anche la storia di questo martire che con il suo sacrificio ha generato molti altri cristiani alla fede. Lo ripeto dunque: senza il sacrificio, senza perdere qualcosa si genera solo vuoto, individualismo, relativismo e superficialità.

E da ultimo i segni di questa festa. Su tutti domina la croce, la croce di san Maurizio. La portano i vostri sacerdoti, per indicare una unità di intenti, una comunione di prospettive, e in tutte le celebrazioni solenni, anche se non ci saremo tutti, quella croce dirà che siamo presenti spiritualmente a quel momento. Portare la croce non è un’onorificenza: è piuttosto un carico che ci facciamo per voi, fratelli e sorelle: vogliamo portarvi Cristo, anche attraverso la fatica apostolica, vogliamo consegnarvi il segno dell’amore di chi ci ha salvato nella sofferenza e nella gratuità. Questa stessa croce sarà messa sul gonfalone della Città per indicare uno sforzo, una meta comune in cui ci riconosciamo, sotto la protezione di san Maurizio, che è raffigurato al centro dell’emblema.

I gonfaloni delle tre parrocchie rimarranno esposti nelle nostre chiese, per ricordarci la comunione generata dalla Comunità pastorale e la meta del camminare insieme, per essere testimoni visibili della prima verità del cristianesimo, che è l’amore fraterno.

Ci aiuti in tutto questo san Maurizio martire, che oggi onoriamo come nostro patrono.

Don Claudio