VII Dopo Pentecoste
L’assemblea di Sichem
In questa (calda) domenica estiva, come sempre in questo tempo liturgico, il tono è dato dalla prima scrittura che ci viene offerta dalla liturgia, che ricorda un fatto storico fondamentale per Israele: l’assemblea di Sichem. In breve: Giacobbe, dopo che ha dato ad ogni tribù un suo pezzo di terra, convoca tutti a Sichem, il luogo poi caro anche alla Samaritana, perché tutti scelgano quale professione di fede emettere. Giacobbe dà l’esempio: “Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore!”. Giacobbe lascia però libero il popolo tutto: “scegliete voi chi volete servire!”. Invito che provoca alla riflessione ma anche alla risposta: “noi vogliamo servire il Signore!”. Fatto storico molto importante che ci dice che tutti siamo invitati a scegliere. Possiamo scegliere se avere fede o se non averla, possiamo decidere se coltivare la fede oppure no, possiamo scegliere se “servire” il Signore, cioè cercare rispettosamente la sua volontà, oppure no.

Servire il Signore
La domanda oggi viene fatta a noi. La fede è un dono prezioso, che noi tutti abbiamo ricevuto. Pensiamo a chi ci ha donato il Battesimo, pensiamo a chi ha curato il nostro itinerario di formazione di fede, pensiamo alle letture che facciamo, ai maestri che scegliamo… La fede è, però anche una responsabilità. Tocca a ciascuno di noi decidere continuamente di avere fede. Tocca ciascuno di noi decidere come portare avanti il proprio cammino, nella libertà più assoluta. Il Signore non obbliga mai a niente. Così si spiega perché a stagioni di fede, di appartenenza certa alla Chiesa, a momenti di impegno profondo, seguano, poi, stagioni di non fede, stagioni in cui non ci interessiamo della vita della Chiesa, stagioni nelle quali tutto sembra morto. La fede è un dono da scegliere continuamente, da coltivare sempre.
I giovani
Questo brano della scrittura era stato scelto moltissimi anni fa dal cardinale Martini per l’assemblea diocesana dei giovani. “Servire il Signore” era diventato uno slogan. Molti gli appuntamenti, le riflessioni, i ritmi e i tempi di preghiera per capire cosa significano queste parole e per educare i giovani a “servire il Signore”, ovvero a sentire la responsabilità del proprio cammino di fede. Fu una intuizione provvida: nacquero molti cammini spirituali, alcuni dei quali sono presenti ancora oggi nella pastorale diocesana. Vorrei che, in qualche modo, i giovani potessero immergersi in questo testo biblico e provassero anche loro a comprendere. Credo che i giovani vadano educati alla responsabilità della fede e all’importanza di avere l’interrogativo nel cuore. Al di là della risposta che ciascuno poi troverà, credo che sia molto più importante avere la domanda a cui pensare. Oggi, se vediamo così poca fede nei giovani, è perché questa domanda non viene più posta o viene elusa molto facilmente. Chiedo a ciascuno di voi di farsi interprete di questo desiderio mio e di portare ai vostri figli/nipoti questa domanda, magari anche chiedendo banalmente di leggere queste poche righe.
Una responsabilità
La responsabilità che abbiamo è comune a tutti ed è grande, profonda, intensa. A tutti noi è chiesto di sentirci responsabili anzitutto ciascuno del proprio cammino di fede, poi tutti insieme della trasmissione della fede a chi viene dopo di noi. E’ un compito che ci riguarda tutti come Chesa. E’ un compito che chiede l’apporto di tutti, anche di chi non ha figli o nipoti a cui parlare di queste cose. Tutti condividiamo questo enorme compito! Impariamo a servire il Signore partendo dalla celebrazione dell’Eucarestia che, oggi, in molti frequenteremo. È qui che troviamo al forza—e forse anche le idee giuste—per parlare di fede ad una generazione che sembra proprio non interessarsi a Dio. È qui che troviamo la forza per dire noi per primi: “vogliamo servire il Signore!”. È qui che potremo condurre altri a sperimentarla.
Il Vostro Parroco,