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II di Quaresima – La Samaritana

La paura

“E’ segnato dalle rughe il volto di Sara come è scavato quello di Abramo. E’ il corpo di un vecchio quello di Abramo. Come potranno generare un figlio? Eppure il desiderio di avere un discendente è grande e la sterilità è considerata nella cultura ebraica segno di un castigo divino. E’ per questo che Sara, con le mani aperte nel gesto dell’offerta, offre la sua schiava Agar, splendente di bellezza e di giovinezza, ad Abramo che a sua volta la accoglie. Dalla loro unione nascerà Ismaele, ma l’intervento divino cambierà le carte in tavola e l’incredula Sara genererà Isacco. Non sono poche le donne della Bibbia che hanno come denominatore comune la caratteristica di essere sterili: Sara, Rebecca, Rachele. Sono donne forti, determinate, che comandano anche ai patriarchi, ma non possono decidere la cosa più importante che potrebbe esserci nella loro vita: il generare un’altra vita. Eppure anch’esse genereranno, addirittura in tarda età, contro ogni legge di natura, perché sarà Dio stesso a rendere possibile la fecondità del loro grembo avvizzito. La pienezza della gioia della procreazione sta dunque nella consapevolezza che la nostra vita è custodita dalle mani di Dio e che essa diventa feconda nel momento in cui sappiamo affidarci al suo progetto, liberi dalla pretesa di avere tutto sotto controllo. (F.M)

Stom Matthias, Sarai presenta Hagar ad Abram, 1637-1639
Staatliche Museen, Berlin

La paura di amare

Non abbiamo scelto, per questo mese, un’immagine della Samaritana. Poco conta. Il tema della quaresima ci vuole introdurre, anche con questa immagine, alla paura di amare. È una paura molto presente, oggi. Si ha paura ad amare un’altra persona per non rimanere feriti; si ha paura a legarsi ad una scelta definitiva che sappia dire un per sempre; si ha paura a donarsi ad un altri, perché si teme di non essere capiti, o di essere fraintesi, e, per questo, taluni rinunciano ad amare. Condannarsi ad una vita priva di relazioni è, quindi, sterile.

Quaresima è tempo di digiuno, di ascesi, di educazione degli affetti, non di rinuncia a viverli! Ecco perché è utile che noi riflettiamo sul tema. Cosa significa educare gli affetti? Significa, anzitutto, che dobbiamo tutti ricordarci che siamo fatti per amare. Siamo fatti per dialogare. Siamo fatti per donarci agli altri, ad imitazione del Signore Gesù che, in questa quaresima, contempliamo Crocifisso e, quindi, nel momento massimo della sua donazione di amore. Educare i nostri affetti significa proprio educarci al dialogo, alla donazione generosa di sé senza tenere conto del tempo, delle fatiche, degli oneri…

Educare i nostri affetti significa anche avere il coraggio di riprendere in mano la nostra vita per dare una direzione precisa ai nostri sentimenti ed emozioni, che non possono essere i “padroni” della nostra vita. Piuttosto siamo noi a dovere operare un costante discernimento sulla verità che essi ci comunicano per tenerne il giusto conto. Educarci a non avere paura di amare significa, in  questo anno della famiglia, sostenere la famiglia, luogo dove si impara ad amare gratuitamente, liberamente, nel rispetto delle capacità e dei limiti di ciascuno. Educarci ad amare significa anche educare i nostri giovani ad una vita affettiva limpida, seria, il più lontano possibile da tutto ciò che viene proposto per lo più nella nostra società in nome di una presunta libertà. Solo un amore che vive, si struttura e cresce in relazione all’amore di Cristo è un amore che non fa paura e che è sempre degno di essere vissuto. Ci aiuti la Beata Vergine Maria a non avere mai paura di amare.

Il Vostro Parroco,