Penultima dopo l’Epifania
Un tempo che finisce
La sapienza della chiesa ambrosiana ha “organizzato” il tempo liturgico scandendo la preparazione verso la quaresima. Le ultime due domeniche di questo tempo dopo l’Epifania sono chiamate “della divina clemenza” e del “perdono”. Dunque due domeniche simili tra loro, per prepararci al tempo del perdono, della clemenza, della misericordia che è la quaresima.

Un caso
Dobbiamo davvero leggere tra le righe se vogliamo percepire anche noi la portata sconvolgente del Vangelo.
Passi che Gesù avesse degli apostoli: tutti i maestri del tempo lo facevano. Passi anche che i suoi discepoli fossero gente sconosciuta e umile e non ragazzi giovani che vogliono studiare per affermarsi nel futuro, come accadeva presso altri.
Ma che Gesù chiami un pubblicano, agli occhi della gente comune di quel tempo, era troppo! Come si fa a chiamare un collaborazionista di un invasore? Come si fa a chiamare uno che raccoglie le tasse per l’odiato usurpatore e che pure trattiene per sé ricchezze enormi? Un uomo del genere è del tutto immorale. Chi vorrebbe averlo come discepolo? Come fa il Signore a chiamare uno così?
Già questo era materia di discussione di non poco conto e di grande pettegolezzo. Quando poi il Signore decise pure di andare a casa sua a mangiare, ecco la goccia che fece traboccare il vaso! Il Vangelo ci dice, con molta finezza, che “mormoravano”. Ma, come appunto dicevo, noi capiamo poco di quella mormorazione. Dopo secoli di cristianesimo “diamo ragione” a Gesù e, magari, pensiamo anche che chi lo ha criticato era un po’ ottuso di suo! La chiamata di Levi, Matteo, fu un caso. Un caso che fece parlare. Molto.
Non sono i sani…
La mormorazione si spiega con il fatto che molti si ritenevano giusti, a posto con Dio e con la coscienza. Non era il caso di dare ascolto ai richiami di Gesù. Non erano per loro. Non era materia per le loro orecchie e per il loro cuore. Gesù provoca proprio costoro. Sicuri di essere “a posto”? Non siamo tutti un po’ malati?
Queste sono le domande che vengono a noi. Perché, in fondo, un po’ a posto, ci sentiamo tutti. Veniamo a Messa, diciamo qualche preghiera, facciamo qualche elemosina, facciamo qualche atto buono o comunque siamo impegnati per la nostra famiglia. Che altro occorre? Noi che abbiamo aderito al Signore, “siamo a posto!”. Tanto che, quando andiamo a confessarci (di rado per la verità) abbiamo ben poco da dire.
È per questo che il Vangelo di oggi è per noi, perché ci dice che i malati siamo un po’ tutti noi. Malati di superficialità, malati di orgoglio, malati perché pensiamo di essere meglio di altri, malati perché non vediamo più la gravità del peccato… l’elenco delle malattie potrebbe andare avanti. Una domenica come questa ci serve per fermarci e pensare alla nostra salute spirituale. Abbiamo fatto così tanto per la salute del corpo! Perché non fermarci qualche istante per riflettere sulla salute dell’anima?
Per fare questo occorre avere il coraggio di Levi, il coraggio di lasciarsi chiamare per nome, il coraggio di invitare Gesù presso di sé, il coraggio di lasciarsi andare oltre ogni formalismo per sperimentare, davvero, la misericordia e la grazia di Dio.
È questo quello di cui tutti abbiamo bisogno.
Con umiltà mettiamoci dalla parte dei malati.
Sperimenteremo la misericordia di Dio.
Il Vostro Parroco,